“Medea a Majara” liberamente tratto da Medea di Euripide

/“Medea a Majara” liberamente tratto da Medea di Euripide

Un tema difficile, riletto mille volte perchè archetipo eterno di ogni donna mistificata, umiliata, usata dalle logiche fredde del potere e della convenienza. Ma questa Medea majara è realmente una Medea inedita. Un lavoro che sceglie la forma della narrazione popolare del Cunto accompagnata dall’ispirazione dei testi contemporanei di Christa Wolf e Corrado Alvaro
Medea freschissima, ancora giovane,decide di determinare il proprio destino in quel viaggio spaesante che è l’affidarsi all’Altro, all’Eroe dell’incontro fatale, al Mare che per ogni migrante ha una sponda sconosciuta, troppo spesso ostile e devastante.
“Speranza i ravanti, la terra  i rarrieri, lu scantu a lu latu ,lu mari nte peri ,u saccio cu era,’un sacciu cu sugnu,mi cancia la vita stu giro ro munno”
La società greca la vuole oscura e buia. Medea invece è figlia del figlio del Sole, Vive l’Amore da pari, nè da padrona nè da schiava, a suo agio in una natura sensuale e romantica. Non può parlare la lingua luminosa degli eroi greci, ma usa il dialetto siciliano come identità profonda, cordone ombelicale che la riconnette alla Colchide. Il siciliano parla alle viscere,  si contrappone al logos, al pensiero riformatore e politico che invece plasma la lingua di Giasone: il greco/italiano più ricercato e letterario che trova spazio ora nella memoria elegiaca dei flash back, ora nella spietata ragionevolezza del traditore Giasone. Giasone canta il suo irretimento sincero, mette in scena la sua ambiguità,  accecato dal miraggio del potere, fedele al mito di sè stesso. Altalena di coraggio e codardia, ci insegna la dualità.
Il ritmo dello spettacolo grazie alle musiche di Incudine,segue il ritmo violento del sangue, pulsa con le percussioni ossessive di strumenti tribali e  si alterna a toni puri e malinconici .
Le riflessioni amare della nutrice, figlie del realismo spietato, voce del buonsenso popolare rispettano il testo antico ma la forza brutale e arcaica del dialetto ci trascinano in una dimensione senza tempo, dove l’uomo è sempre sconfitto e, forse, l’Arte  è la sola Redenzione.

con Miriam Scala e Raffaele Schiavo
regia di Giuseppe Spicugli

2018-05-08T10:07:08+00:00